Di quella sera mi ricordo che non avevo tanta voglia di essere presente all’incontro che stava per iniziare nella biblioteca del centro cattolico dove con altre due consorelle avevamo cominciato quell’anno a svolgere il nostro ministero. Ero stanca e avrei voluto essere già a casa; senza sapere perchè, mi sedetti accanto ad una studentessa che avevo visto in giro ma con cui non avevo mai parlato. Nonostante la mia riluttanza ad iniziare una conversazione, sentii nel cuore che volevo amare quella giovane e cominciai a chiacchierare con lei; con mia sorpresa, anche se i minuti a disposizione fossero davvero pochi, si creò subito una sintonia con Jennifer e ci scambiammo i contatti. Quella sera stessa Jennifer mi mandò un e-mail per chiedermi se poteva incontrarsi con me regolarmente per iniziare un cammino che ben presto divenne discernimento vocazionale e che si concluse con la sua entrata in una comunità religiosa di cui fa ancora parte.
Quando ricordo questo fatto, uno dei molteplici piccoli fatti della mia vita di consacrata, mi vengono in mente queste parole di Papa Francesco:
«la pastorale vocazionale è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio Padre» (Discorso ai partecipanti al Convegno di pastorale vocazionale, 21 ottobre 2016).
Mi domando se quella sera, Jennifer, abbia intravisto qualcosa di quello sguardo di Gesù nel mio desiderio di “fermarmi” con lei e questo l’abbia incoraggiata a guardarsi dentro e scoprire che il Signore l’aveva già guardata con amore da tanto tempo.
Alla domanda su cosa significhi per la Chiesa accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo, il documento preparatorio al Sinodo sui giovani, fede e discernimento vocazionale, risponde con tre verbi caratteristici dell’approccio di Gesù nella sua azione pastorale: uscire, vedere, chiamare.
Uscire, andare incontro, prendere l’iniziativa, già indica che nel cuore di ogni educatore c’è la certezza che c’è tanto da scoprire, che c’è un tesoro nascosto nel campo di ogni giovane esistenza per cui vale la pena “spendere tutto quello che si ha” per farlo venire alla luce. Vuol dire anche uscire da quella mentalità che ci sia una ricetta che valga per tutti e che accompagnare i giovani a scoprire la propria chiamata sia frutto di un processo precostituito di cui si possano controllare i passaggi.
L’uscire dell’educatore incoraggia anche il giovane ad uscire dai propri schemi personali e “gettare le reti” dove l’acqua è più profonda.
Una giovane a cui chiedevo che cosa l’avesse aiutata nel rapportarsi a figure adulte di riferimento nel suo cammino vocazionale, mi ha condiviso che per lei era stato importante sentirsi valutata nella sua capacità di discernere cosa fosse davvero ciò che la realizzasse come persona, il sentire che gli adulti attorno a lei le mostrassero fiducia e le lasciassero la possibilità di provare una strada così diversa dal comune.
L’uscire è molto collegato al vedere; solo se esci, se ti metti in cammino verso i giovani e il loro mondo puoi davvero essere in grado di capirli e di amarli. Spesso nel vangelo viene sottolineato lo sguardo di Gesù che suscita una rinascita, un cambiamento di vita, ma che mette anche in crisi come nel caso del giovane ricco che seppur amato da quello sguardo non ha il coraggio di rispondere con totalità alla chiamata di Gesù.
Il vedere con amore è la risposta al desiderio profondo di essere apprezzati per la propria unicità, la luce per scoprire meglio i propri doni e la spinta per trovare il coraggio di mettersi in gioco.
Quello che nella mia piccola esperienza ho sempre notato, è stato vedere come i giovani apprezzino tanto quando persone consacrate trascorrono tempo e fanno cose con loro. La vita consacrata, soprattutto quella femminile, può sembrare così distante al mondo delle giovani donne di oggi che non sentono come la femminilità possa esprimersi in un contesto così diverso dal modo in cui si percepiscono e sentono di doversi realizzare.
Ma l’essere invitate “dentro” il mondo dei consacrati e vedere cosa significhi dare la vita per il Signore e per i fratelli nei gesti quotidiani e in quelli più specifici di una data missione, aiuta le giovani a percepire che anche la comunità religiosa è una famiglia a cui è entusiasmante appartenere e in cui sviluppare le proprie doti per rendere il mondo un posto più bello.
E’ quando noi come educatori vogliamo “vedere” cosa ci sia nel mondo del giovane che lo aiutiamo a trovare il desiderio di vedere cosa ci sia di bello nel nostro mondo di consacrati.
A questo si collega il terzo verbo, il chiamare. Se il guardare con amore apre alla speranza il chiamare interpella la fede. E’ quando un giovane si sente dire la parola di Verità, quella che lo stimola a riconoscere che c’è un di più di amore che è stato seminato nel suo cuore e che chiede di essere coltivato e condiviso, che allora trova in sè la forza di correre dietro al Signore e impegnare la vita.
Una delle ragazze con cui parlavo di come le figure di adulti l’avessero incoraggiata nel suo discernimento vocazionale, mi confidava che un punto importante era stato l’apertura con cui queste persone le avessero parlato della possibilità della consacrazione come di una realtà concreta, normale a cui i giovani potevano essere chiamati. In questo vedo come le due vocazioni vadano sempre tenute accanto per “esaltare” la bellezza di entrambe. Trovo sempre tanta gioia nel parlare della vocazione del matrimonio ai giovani che stanno discernendo e mi dona sempre tanta gioia ascoltare un laico che condivida la sua percezione di come la vita consacrata arricchisca la sua esperienza di vita matrimoniale.
Si sente dire spesso che la generazione dei giovani di oggi fa fatica a prendere impegni soprattutto se a lungo termine.
Eppure, è propria dell’esperienza umana la realizzazione che l’identità della persona si radica nella stabilità di rapporti affettivi. Ogni vocazione si sviluppa in questa tensione: il bisogno di essere apprezzati, amati e riconosciuti nel proprio valore all’interno di una relazione con adulti maturi e il desiderio di impegnarsi in una missione per cui spendere tutto.
D’altro canto non posso far a meno che pensare a quel ragazzino che si ritrovò a dover consegnare i suoi cinque pani e due pesci al Maestro che doveva sfamare con essi cinquemila uomini. Il problema non era che il suo contributo fosse assolutamente insufficiente, ma che lui fosse disponibile a dare tutto il poco che aveva.
Se un giovane incontra uno sguardo adulto che lo assicura e rassicura che il suo contributo può davvero cambiare lui stesso e il mondo, perchè il Signore vuole compiere in lui i suoi miracoli, allora, sono convinta che troverà il coraggio di rispondere all’invito, alla chiamata, e a donare tutto.
PROPOSITO CONCRETO DEL MESE
Rifletto su possibili modi di “uscire”, “vedere” e “chiamare” per incoraggiare persone a realizzare la loro vocazione mentre allo stesso tempo cerco di vivere più profondamente la mia.
La meditazione di giugno e’ a cura di Michela Brugnoli