Posted On 01/09/2019

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by Ruth Kuefler

«Come la creta nelle mani del vasaio…»

Sono nata e cresciuta in una cultura, in un paese e in una famiglia che, non solo privilegia, ma addirittura premia chi è assertivo, indipendente e autosufficiente.

La mia famiglia è numerosa e calda, ma anche loquace e schietta. Per poter far sentire la propria voce bisogna competere, in qualche modo, con chi sta già parlando, se si vuole rubare l’attenzione anche solo per un istante. Ed io ero un’esperta ad essere al centro e a convincere gli altri a seguirmi. Ero un vulcano attivo, carico di energia e di idee, sempre pronta a scoppiare e spargere lava ovunque lo ritenessi “giusto” e necessario.

Poi, ho conosciuto le Apostole.

Pensavo di possedere già tutto quello che mi occorreva per raggiungere la felicità e la santità: convinzione, coraggio e costanza, ma non sapevo veramente come vivere accanto ad altri, come vedere e desiderare il valore dell’operare insieme, anziché volare sempre e solamente con le proprie ali. L’inizio del mio cammino formativo, perciò, è stato un travaglio costante, poiché non ero in grado di  affidarmi nonostante le belle parole da me pronunciate durante i precedenti anni di discernimento, parole di consegna totale al Signore.

 “Le Apostole della Vita Interiore sanno che nessuno può dare quello che non ha” (Regola di Vita delle Apostole della Vita Interiore).

Io non sapevo abbandonarmi né a Dio né alle sue creature.

Tanti mi chiedono perché noi Apostole (come in genere qualsiasi realtà di vita consacrata) abbiamo un tempo così prolungato di formazione, prima di emettere i voti. Penso che un anno fa non avrei potuto rispondere adeguatamente a questa domanda, dato che io stessa non ne avevo colto pienamente la risposta.

Inanzitutto, questi primi cinque anni mi stanno insegnando che io sono un vaso di creta e non d’acciaio, come credevo d’essere. Sono malleabile, posso cambiare, posso crescere. Mi stanno insegnando che «quando sono debole, è allora che sono forte… perché dimori in me la potenza di Cristo» (2Cor, 12). Non devo perciò nascondere alle mie consorelle le mie imperfezioni: tutti quanti ne abbiamo, e possiamo imparare gli uni dagli altri. Questi anni mi stanno insegnando che l’insieme comunitario è mille volte più ricco della prospettiva del singolo individuo, poiché ognuno porta con sé il corredo dei propri doni, la forza creativa e l’energia necessari per compiere l’opera di Dio.

“Le candidate sono poste sotto la responsabilità di una formatrice. In effetti, data la particolare natura delle Apostole della Vita Interiore, per cui ognuna di loro diventa competente di formazione, ogni consorella può dare il proprio contributo personale in campo formativo, in modo che tutta la Comunità vi sia coinvolta” (RdV). In Comunità non abbiamo solo una resposabile che ci forma, in quanto tutte ci condividono il Carisma. Confesso di aver attraversato dei momenti in cui avere una ventina di “formatrici” non mi rallegrava il cuore.

Adesso, però, quando mi guardo intorno, riconosco i volti di chi mi sta aiutando a diventare sempre più me stessa, sempre più “Briana”, e non posso far altro che gioire e ringraziare il Signore per la forma che Egli sta dando a questo vaso di creta.

“Se la formazione alla vita comunitaria è richiesta nella famiglia naturale (vita di coppia e rapporto con i figli), tanto più lo sarà per la persona consacrata, la quale, non potendosi avvalere dell’apporto dato dai vincoli naturali o di sangue, dovrà trovare la sua forza, a maggior ragione, nel legame d’amore col suo Signore” (RdV).

Non è pensabile che della creta inerte avverta le mani del vasaio che la manipola e la aggiusta, così da splendere nel suo disegno finale. Noi invece sentiamo al vivo ogni correzione, ogni suggerimento, e non è sempre gradevole riconoscere i propri limiti e le proprie imperfezioni. Riconosco di non essere sempre vigile nelle mie reazioni; mi capita di non vedere la bontà di chi mi rettifica, desiderando il mio bene e avendo di mira la reale possibilità di una mia crescita… Tuttavia, con il tempo e soprattutto con la Grazia di Dio, spero di poter arrivare ad essere sempre più accogliente, docile e grata per il dono della formazione sinora ricevuta e pervasa di speranza per quella che ancora mi verrà donata.

La vicinanza col Signore, nei momenti in cui la nostra visione è oscurata, il nostro cuore indurito e la mente chiusa in sé, può essere un balsamo che ci libera e ci apre alla felicità che ci attende in ogni Sua promessa. Possiamo lasciarci plasmare fra le Sue mani?

«Io sono sceso nella bottega del vasaio ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva giusto. Allora mi fu rivolta la parola del Signore: «Forse non potrei agire con voi, casa di Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come la creta nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa di Israele.» (Ger 18, 3-6).

Proposito concreto:
In quale ambito il Signore mi sta chiedendo di “mollare la presa”, di abbandonarmi nelle Sue mani? Posso consegnare a Lui ciò che non posso controllare ed accettare di essere guidato? Con quale persona che cercava il mio bene sono stato impaziente? È forse il caso di chiedere scusa?

La meditazione di settembre è a cura di Briana Santiago

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