Quando Gesù chiede, come fece con gli apostoli: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15) devo dire che la mia risposta recentemente continua ad essere: «Tu sei il mio Buon Pastore».
Io so che il Buon Pastore mi ha accompagnato passo dopo passo sin dal mio concepimento nel grembo materno. Il Salmo 22 è sempre stato uno dei miei preferiti, un luogo di rifugio in momenti di sofferenza e paura. Lo recito a memoria, sussurrandolo al mio cuore e alle sue orecchie ed è fonte di consolazione e di forza. Ma mai come in questo anno appena trascorso, con così tanta chiarezza Gesù si è rivelato a me, e io l’ho percepito, come il Buon Pastore. In questi mesi ho scoperto e apprezzato soprattutto due sue qualità, la tenerezza e la forza. Questo vero Dio e vero uomo che cammina lungo le strade della nostra esistenza con il bastone e il vincastro, che ci conosce fin nel profondo — bontà, limiti, peccati, desideri — che non ci perde mai di vista, ha la capacità di pronunciare il nostro nome come solo una madre, un padre, un amante farebbero, e di avvicinarsi alle nostre ferite con una tenerezza che noi non abbiamo mai sperimentato prima. Lungi dall’esserne disgustato o impaurito, egli desidera guardarle e toccarle perché ci ha creati e ci vuole integri. Egli che è il Guaritore per eccellenza è venuto proprio per noi, i malati.
Nella parabola della pecorella perduta, quando lascia le novantanove e trova quell’una che si era dispersa, la solleva, se la porta al cuore e poi la pone sulle sue spalle. Proprio lì, nel mezzo delle ferite e della miseria, ha luogo l’abbraccio intimo con lui. Perché dunque fuggiamo quando siamo sporchi, feriti, perduti? Dobbiamo solo innalzare un flebile grido e lasciarci trovare. Penso a Pietro che cammina sulle acque e, quando distoglie lo sguardo da Gesù, comincia ad affondare: «Signore, salvami!» (Mt 14,30). Non deve ripeterlo due volte. La forte mano di Gesù è pronta ad afferrarlo. Nessuna tempesta è più forte del Buon Pastore, sia essa fuori di noi o nella nostra anima.
Ignazio di Loyola parla dello spirito cattivo, sempre al lavoro contro di noi, e con questo termine intende la carne, il mondo e il diavolo. È interessante notare che egli usa un solo termine per tutti e tre e che non distingue quale di loro sia al lavoro. Nella mia esperienza mi pare di aver compreso che Ignazio si esprime così perché i tre sono sempre insieme. Anche se uno prevale sugli altri a seconda della situazione, comunque si alleano sempre per farci guerra. Eppure, per quanto lo spirito cattivo possa sembrare forte, il Buon Pastore lo è di più. Tanto è tenero con il peccatore quanto si oppone con forza al peccato e al nostro nemico. Così, se nella nostra anima c’è una fortezza che appartiene allo spirito cattivo (un’area della nostra vita che teniamo per noi stessi, chiusa all’azione di Gesù), egli andrà contro di essa. Contro di essa, non contro di noi. Egli tuttavia non può e non vuole farlo senza la nostra cooperazione. Spetta a noi fare la nostra parte. Egli ci sostiene e proprio quando ci sentiamo deboli e alla mercé del nemico, se stiamo vicini a lui, la sua forza si mostrerà in noi.
Ciò che fa la differenza è infatti la presenza del Pastore.
Ho avuto l’occasione quest’anno di leggere un piccolo libro intitolato Un pastore guarda il Salmo 23 (22), il cui autore, un protestante, è stato un pastore di pecore per molti anni. Egli presenta una comprensione profonda del salmo, condividendo una conoscenza della pastorizia che onestamente io non avevo. Capisco ora perché Gesù ha scelto di usare una tale immagine!
Per cominciare, le pecore sono il bestiame che richiede più cura. Abbandonate a loro stesse muoiono. Il salmo parla di riposo in pascoli erbosi ed accanto ad acque tranquille, ma le pecore non sono neppure in grado di riposare a meno che il pastore intervenga. Per fare ciò, egli deve liberarle e proteggerle da paure (ansietà, preoccupazioni, paura dei pericoli), attriti all’interno del gregge, parassiti (i pesi che si portano quotidianamente) e fame. Più di una volta l’autore ha notato che la sua semplice presenza in mezzo al gregge nel campo faceva la differenza e riportava la pace. Non si tratta, quindi, di quanto grandi siano i nostri problemi o le nostre fortezze, ma di quanto vicini stiamo a Cristo.
Un’altra cosa interessante dell’esperienza dell’autore è il lavoro instancabile del pastore per il bene delle sue pecore. Questo è ciò che ho visto in Gesù. Egli non si stanca mai di prendersi cura di me e, proprio perché mi ama, non esita a condurmi attraverso valli oscure, che sono le vie migliori ai pascoli di montagna. Egli permette prove e avversità cosicché noi possiamo crescere nella fiducia, diventare più forti e avere il merito (sempre sostenuto dalla sua grazia) di scegliere di seguirlo. Non affrontiamo però tali prove da soli, né lui permette più di quello che possiamo sopportare. Che dono è il chiedere e ricevere la grazia di poter innalzare lodi e ringraziamento a lui anche nel mezzo di tali valli oscure!
Il Buon Pastore quindi mi ama, egli è tenero e forte allo stesso tempo, conosce esattamente cosa è meglio per me, non mi chiede mai di andare dove lui non è già stato e, soprattutto, dona la vita per me. I verdi pascoli dove mi nutro, l’acqua dello Spirito Santo che spegne la mia sete, la ricca tavola che egli imbandisce davanti a me, segno dell’Eucaristia, provengono dalla Croce, dal cuore trafitto del mio Buon Pastore. La sua morte non è stato un incidente, ma un atto desiderato di amore sacrificale. La Croce è la via dell’amore e verso l’amore. Lo seguirò là?
Ciò che viene chiesto a noi “pecore”, infatti, è fiducia, affidamento e perseveranza. Siamo chiamati a porre la nostra vita nelle sue mani e a seguire la sua guida. «Gesù, confido in te» è l’invocazione che mi accompagna e mi aiuta, specialmente quando non capisco, quando cammino attraverso la valle oscura. Perfino lì posso sperimentare allora la dolcezza della sua presenza e la sua fedeltà alle promesse. L’autore del libro spiega come quelle valli oscure sono scelte perché vi si trovano acqua e cibo. È vero che siamo chiamati a fare tutto il possibile per migliorare una situazione, ma una volta che abbiamo tentato penso sia fondamentale imparare ad arrendersi e a vivere la sofferenza con Gesù. Grandi tesori possono così essere scoperti. Personalmente ho ricevuto le grazie più belle nei momenti di sofferenza e prova. E quando non ci opponiamo più ad essi, scopriamo che stiamo soffrendo meno e possiamo gustare la presenza e la dolcezza di Gesù.
La valle oscura non è la destinazione finale, ma piuttosto un luogo di passaggio. Ad essa segue la gioia della vita, vita ricevuta da lui, vita che possiamo donare ad altri.
“Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Suggerimenti per un proposito concreto:
- Imparare a memoria il Salmo 22 (23), e recitarlo nei momenti di prova
- Elencare i momenti in cui abbiamo sperimentato la presenza del Buon Pastore attraverso la sua tenerezza e/o la sua forza e ringraziare il Signore per queste esperienze
- Pregare con l’invocazione «Gesù, confido in Te»
La meditazione di questo mese è di Celestina.