Non ho mai davvero capito fino in fondo come si possa sentire una madre che perde un figlio tra la folla;
questo finché ho assistito ad una scena da spezzare il cuore un paio di estati fa. Mentre stavamo celebrando la Messa al termine di una bella gita in montagna, proprio durante l’omelia, è scoppiato il finimondo: urla, lacrime e singhiozzi. Una mamma aveva finalmente ritrovato il suo bambino che si riposava tranquillo accanto ad una fontanella, in attesa che la famiglia lo raggiungesse, visto che con il suo passo deciso aveva seminato tutti gli altri. La madre era stata presa talmente tanto dall’ansia e dalla paura di averlo perso sul sentiero che, quando finalmente l’ha rivisto, gli ha scaricato addosso tutta la tensione accumulata. Credo che tutti quelli presenti a quella Messa ad alta quota abbiano passato il resto della Messa a pregare per questa donna e per questo ragazzino, affinché potessero presto riprendersi da questo terremoto di emozioni.
Nel vedere il livello di angoscia accumulata in questa situazione, credo di aver intuito il conflitto interiore che Maria e Giuseppe devono aver sperimentato quando hanno perso Gesù –allora dodicenne- di ritorno da Gerusalemme. Nonostante Maria fosse colma di Spirito Santo e non avesse mai peccato, credo che questo non l’abbia messa al riparo dallo sperimentare sentimenti di dolore e angoscia che accompagnano ogni madre; in fondo, anche Gesù nel Gestsemani sudò sangue a causa dell’angoscia.
48 Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49 Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50 Ma essi non compresero le sue parole. 51 Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. 52 E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Ho scelto questo episodio della Santa Famiglia per la mia meditazione sul ruolo della famiglia nel discernimento vocazionale, così da avere in mente un esempio reale delle possibili tensioni familiari, dalla famiglia più santa fino alle nostre. Uno dei compiti principali affidati ai genitori è quello di insegnare la fede ai loro figli. Maria e Giuseppe l’hanno fatto con Gesù, aiutandolo a crescere in tanti aspetti, non da ultimo la comprensione della fede dei Padri. Il Documento Preparatorio per il Sinodo sui Giovani del 2018 ci ricorda che la fede è il fondamento del discernimento vocazionale. Una famiglia che fa dono al proprio figlio della fede lo fa entrare immediatamente in una dinamica vocazionale. Guardando alla mia storia mi accorgo che il nome che i miei genitori mi hanno dato alla nascita (Raffaella, “Dio guarisce”) conteneva già in sé il seme della mia vocazione, che è quella di portare guarigione nella vita delle persone attraverso la mia cura pastorale.
La relazione genitori-figli in ambito di ricerca vocazionale è al contempo unica e delicata, ed è spesso teatro di un insieme di fattori: desiderio di libertà, aspettative, incoraggiamento, paure, coraggio e quell’essere attratto da quello che va oltre ciò che si può vedere e toccare.
«Il grado di maturità e di libertà è dato dal conoscere e compiere la volontà di Dio. Qualcuno non è mai
adulto e libero, rimane sempre piccolo, in dialogo solo con i propri bisogni» (S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, p. 74)
In questa riflessione, ho scelto di lasciarmi guidare dalle quattro bellissime virtù che la Chiesa ha definito “Cardinali”, cioè, i cardini attorno a cui ruotano la crescita e la a maturazione Cristiana. Si tratta delle virtù della Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. Ci apprestiamo a guardare a come ciascuna di queste virtù entra in gioco nella sfida preziosa del rapporto famiglia-figli di fronte al discernimento vocazionale.
PRUDENZA
La virtù della prudenza suggerisce ad un giovane di dedicare del tempo al discernimento vocazionale, tempo necessario affinché la Parola di Dio, come un seme piantato in terreno buono, possa mettere radici e produrre frutto. Il contrario di questa virtù non è tanto l’incoscienza di chi si tuffa a pié pari in qualcosa (di questo parleremo quando trattiamo la virtù della temperanza); piuttosto, il contrario della prudenza è il lasciarsi paralizzare dall’incertezza. Il Catechismo infatti dice che «Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare». (CCC 1806)
Per i genitori e i familiari, questa virtù richiama la necessità di parlare della vocazione con molta semplicità fin dall’infanzia, così come si fa con altre realtà quotidiane. Un approccio contrario a questa virtù invece sarebbe quello di esprimere delle aspettative sulla scelta vocazionale di un figlio, con la conseguenza che questi porti un fardello pesante sulle spalle, condizionato dalla paura di deludere i propri familiari.
GIUSTIZIA
Nel chiedere a Maria e a Giuseppe «Perché mi cercavate? Non sapevate che mi devo occupare delle cose del Padre mio?», Gesù ha introdotto il concetto di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Ad esempio, quando uno studente universitario è ancora completamente dipendente dai genitori a livello economico, la virtù della giustizia richiede che rispetti le indicazioni dei genitori, così come Gesù che “era loro sottomesso”. La tentazione che vediamo a volte lavorando in ambito universitario, è che questa verità viene portata ad un estremo, fino a rendere il giovane sottomesso ai genitori più che a Dio. «La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto». (CCC 1807)
Parte della formazione che noi Apostole e Apostoli della Vita Interiore offriamo ai giovani attraverso la
direzione spirituale è orientata a trovare un approccio corretto ed equilibrato alle scelte importanti della vita. Un aspetto bellissimo che i familiari sono tenuti a rispettare è il carattere inviolabile della coscienza dei propri figli: poiché questi ultimi sono ricevuti in dono e non posseduti, i genitori sono chiamati a rispettare e proteggere la capacità dei figli di fare delle scelte.
Il Documento Preparatorio per il Sinodo sui Giovani offre un ottimo spunto di riflessione al riguardo:
Come insegna il Concilio Vaticano II, la coscienza «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et spes, 16). La coscienza è dunque uno spazio inviolabile in cui si manifesta l’invito ad accogliere una promessa. Discernere la voce dello Spirito dagli altri richiami e decidere che risposta dare è un compito che spetta a ciascuno: gli altri lo possono accompagnare e confermare, ma mai sostituire.
FORTEZZA
«La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene». (CCC 1808)
Quale dono quando un giovane impara a perseverare attraverso le difficoltà, aiutato dall’incoraggiamento dei genitori. Spesso proprio i familiari possono fungere da cassa di risonanza, offrendo suggerimenti e spunti utili al discernimento sulla base della conoscenza che hanno del proprio figlio. Al contrario, c’è il pericolo che i genitori prendano il controllo della situazione per evitare che il figlio soffra; così facendo, rischiano di interrompere la fase di crescita del giovane, il quale deve necessariamente abbandonare le tendenze narcisistiche proprie dell’infanzia e dell’adolescenza per diventare uomo o donna.
Una sana transizione del rapporto genitori-figli richiede che si spezzi quel cordone ombelicale che ancora
tiene il figlio legato emotivamente alla famiglia, per potergli davvero permettere di diventare autonomo.
TEMPERANZA
L’esperienza ci ha mostrato come a volte i giovani si lascino prendere da facili entusiasmi e si tuffino a
capofitto in questa o quella realtà, senza davvero prendersi del tempo per discernere. È per questo che noi AVI ci impegniamo ad accompagnarli in un cammino che insegni loro a fare passi ponderati verso la scoperta della propria vocazione. Questa paziente attesa della tempistica propria del Signore è un grandissimo dono che un genitore può dare al proprio figlio, rassicurandolo che la famiglia gli sarà accanto durante questa fase di conoscenza di sé e di ascolto della voce di Dio.
«La temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». (CCC 1809)
Mi viene da sorridere quando ripenso ad alcuni genitori che già si immaginano i dettagli dei festeggiamenti per quando la loro figlia si sposerà o il loro figlio verrà ordinato sacerdote, quando di fatto hanno appena iniziato ad uscire con un ragazzo o stanno pensando di entrare in seminario! Da questa situazione vediamo sia il grande desiderio dei genitori di vedere i propri figli felici, e al contempo il bisogno di vivere nel momento presente senza lasciarsi trascinare da facili entusiasmi.
IN CONCLUSIONE
Il mio desiderio in questa meditazione è stato quello di fotografare il capolavoro che Dio desidera fare nella vita di ciascuno: accompagnare un giovane nel bellissimo itinerario di discernimento vocazionale. La miglior risposta che chiunque possa dare ad un giovane che si lancia in questa sfida è quella del sostegno con la preghiera, con le parole e con i fatti. Continuiamo ad accompagnarli facendo il tifo per loro!
IDEE PER UN PROPOSITO CONCRETO
Inserirò nell’elenco delle mie intenzioni di preghiera i giovani della mia parrocchia o gli amici/figli
di amici che stanno discernendo la loro chiamata.
Mi metterò a disposizione di chiunque stia discernendo, nel caso volesse confrontarsi e condividere
i passi del proprio cammino.
Aprirò le porte della mia famiglia a qualunque giovane volesse fare delle domande sulla vita
matrimoniale e familiare, invitandolo/a a condividere un pasto nell’intimità della mia casa.
La meditazione di questo mese è a cura di Raffaella cavallin