Hai mai provato a prendere con la mano della sabbia e a chiudere il pugno? Più cerchi di tenerla stretta, più la sabbia esce fuori e si perde. Quest’esempio potrebbe esserci di aiuto per capire meglio il tema degli attaccamenti. Identificare a cosa sia attaccato il nostro cuore è importante per qualsiasi tipo di discernimento, perché solo così possiamo raggiungere quella libertà interiore che ci permette di dire di «sì» alla volontà di Dio, come ha fatto Maria.
Quando si sente parlare di attaccamenti, viene quasi spontaneo pensarne di non averne. Purtroppo non è così come ci piacerebbe pensare. Nella storia del peccato originale, vediamo Adamo e Eva che, nel Paradiso terrestre, cercano di afferrare ciò che appare bello e buono. Provare piacere per qualcosa, anche un piacere intenso, non indica necessariamente che abbiamo un attaccamento. Ciò che Dio ha creato è tutto buono e Lui vuole che godiamo sia delle relazioni sia delle cose.
Cos’è successo allora nel Paradiso Terrestre e cosa succede nei nostri cuori quando si sviluppano gli attaccamenti? Il terzo capitolo della Genesi racconta di come Satana cerca di entrare nel giardino per seminare il dubbio nel cuore dei progenitori. «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?» Questa domanda vuole insinuare in loro il dubbio, vuole portarli a non fidarsi di Dio come datore di ogni bene che si trova nel giardino e che è loro necessario. Questa domanda vuole convincerli che magari Dio vuole privarli di qualcosa che invece potrebbe renderli più felici. Satana usa il linguaggio della proibizione, e non possiamo negarlo, le cose proibite diventano molto più attraenti, soprattutto quando c’è il seme di dubbio nel cuore. Questo succede anche a noi: piano piano cominciamo a pensare che non la relazione con Dio, ma qualcos’altro ci renderà felici. Si crea allora un piccolo idolo e il cuore cerca di afferrare invece di ricevere.
J.R.R. Tolkien, nel “Il Signore degli anelli”, attraverso il personaggio di Gollum, ci mostra cosa significhi essere schiavi del solo desiderio di possedere. Quando Gollum si trova nelle mani l’Anello, lo difende con tutto se stesso, afferrandolo con bramosia. L’Anello rimase con lui per quasi cinquecento anni, fino a che gli cadde dalle dita mentre stava tornando da una caccia agli orchi. Nell’assillante tentativo di recuperare il suo “tesoro” Gollum impazzisce. La sua fame disperata di possedere l’anello ha rovinato la sua vita e ha distrutto tutte le sue relazioni. Sebbene sia difficile per noi identificarci con Gollum nel suo essere così terribile e manipolativo, possiamo vedere rappresentate in lui le conseguenze dei nostri attaccamenti, che ci fanno perdere la libertà in Cristo. Tali attaccamenti si formano quando una cosa o un’attività è sfruttata per uno scopo che Dio non vuole, quando c’è un uso eccessivo, o quando una persona o una cosa è usata come mezzo per ottenere ciò che si vorrebbe. La conseguenza è che il nostro comportamento fa del male agli altri e non si vive la pienezza di gioia che Dio ha promesso.
Gesù disse: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni 10, 10). Vivere questa vita in abbondanza è difficile quando tutte le nostre forze sono spese per tenerci strette le cose a cui siamo attaccati. In definitiva gli attaccamenti possono rivelare di cosa sono piene le nostre mani e i nostri cuori, di cosa sono intasate le nostre menti e da cosa è distratta la nostra attenzione, così da impedire alla Grazia di fluire dove vorrebbe. Potremmo non essere in grado di liberare completamente le mani per ricevere i doni di Grazia che Dio ci vuole dare. Possiamo scegliere, tuttavia, di rilassare un po’ le mani o continuare a stringerle sempre più per trattenere cose o persone. Questo ci riporta all’iniziale analogia della sabbia. Ci sono due modi per tenerla in mano: stringendo il pugno o tenendo il palmo aperto come fosse una coppa. Il semplice rilassamento delle mani dopo aver ricevuto qualcosa di buono ci può sembrare troppo passivo o troppo rischioso per il timore che ci venga portato via o per il desiderio di controllare qualunque cosa si trovi nella nostra custodia. Tuttavia, questa scelta di tenere aperte le mani può essere la più grande lotta che una persona possa affrontare, e può suscitare il massimo coraggio e dedizione. In tutto questo c’è la pura aspirazione dell’anima verso la libertà e, attraverso la libertà, all’amore (cfr. Gerald May, Addiction and Grace, 17-19).
Un’anima che godeva di una tale libertà del cuore era Maria; un bellissimo modello per noi, perché aveva le mani vuote per ricevere e non cercava di stringere a sé qualcosa o qualcuno.
Una nostra amica, Elena Martinz, ha scritto una meditazione proprio immaginando un incontro di Maria con il serpente, il quale voleva tentarla di dubitare come fece con Eva. Maria, passeggiando per il giardino, incontra per la prima volta la voce del serpente:
«Forza, avanti, prova e vedrai! So che hai fame, assaggialo… stai tranquilla, non morirai, anzi diventerai una dea e tutto quello che vedi sarà tuo». La voce si era fatta ferma, imperativa. Stava cercando forse di darle un comando?
La ragazza, questa volta, aveva visto un essere sottile, veloce e viscido muoversi tra le rocce proprio di fianco a lei. Quella strana bestia era veloce, ma lei poteva esserlo di più: alzò il piede e lo fece ricadere sul corpo di quell’essere. «È già tutto mio: sono Sua figlia», disse la ragazza mentre schiacciava quel brutto coso tanto impertinente. (cfr. clicca qui)
Maria, in sintonia con la voce di Dio, era capace di cogliere l’inganno nascosto nelle parole del serpente. Era sicura della sua identità di figlia di Dio ed era quindi fiduciosa di ciò che le apparteneva a causa di Colui al quale ella apparteneva. Anche per noi, la domanda più importante è: “Siamo fiduciosi che siamo figli di Dio?”. Se lo siamo, non abbiamo niente da temere, niente da afferrare. È già tutto nostro.
Con tenerezza Gesù ci ricorda questa verità mentre dice: «Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.» (Luca 12, 31-32). Abbiamo un Padre in cielo che desidera darci qualcosa di più grande delle sue creature. Egli desidera darci se stesso come ha fatto con Maria che, dopo aver detto “sì” al piano di Dio, è diventata sua madre. Chiediamo il suo aiuto per avere la forza di lasciare anche noi, nella pace, qualsiasi attaccamento che ci impedisce quella libertà del cuore necessaria per discernere e compiere con gioia la Sua volontà.
Proposito concreto:
►Può essere difficile accorgerci di avere un attaccamento. Sapete un segreto della vita spirituale?
Spesso le tanto odiate distrazioni nella preghiera possono essere degli ottimi alleati per stanare gli attaccamenti: a che cosa pensiamo quando cerchiamo di raccoglierci?_____________________
►A volte è difficile identificare il tipo di attaccamento che ci riguarda. Proviamo a conoscerci con l’aiuto di Dio, sotto il suo sguardo misericordioso che ci vuol liberare. Facciamo una crocetta sulla categoria che in cui cerchiamo la nostra realizzazione:
□ Attaccamenti a cose- sensualità (comfort, sicurezza, caffé, telefonino, social media,
internet, TV, musica, auto, soldi, vestiti, libri…). Combattiamo l’attaccamento agendo in modo contrario e diminuendo l’uso e il tempo che vi dedichiamo con l’aiuto della Grazia che ci dà beni incorruttibili. Stiamo vincendo l’attaccamento quando siamo liberi di scegliere di volta in volta se usare o meno di questi beni e se siamo pronti a prestarli agli altri.
□ Attaccamenti a persone- vanità (i genitori, i figli, gli amici, i compagni, i fidanzati,… la loro opinione, la nostra immagine). Combattiamo l’attaccamento quando cerchiamo di non sacrificare tutto a loro come se fossero idoli e quando lasciamo che il Signore in preghiera riempia il nostro cuore dell’amore e dell’attenzione che stiamo esigendo da loro. Stiamo vincendo l’attaccamento quando sappiamo scegliere il bene dei nostri cari anche quando ci costa o li porta lontano da noi e quando restiamo liberi anche di fronte alla loro opinione contraria; quando accettiamo il rischio di essere rifiutati, disprezzati, fraintesi pur di vivere i nostri valori autentici ma forse non condivisi.
□ Attaccamenti a noi stessi-orgoglio (i nostri piani, successo nel lavoro, il nostro tempo, la nostra efficienza, la nostra indipendenza, i voti alti a scuola, la nostra opinione, il nostro modo di fare, le nostre idee politiche…). Combattiamo l’attaccamento chiedendo a Dio l’umilta’, invitando Dio nei nostri progetti in cui ci sentiamo “dio”, interrompendo la nostra attività per dare attenzione alle persone, chiedendo aiuto, ascoltando l’opinione degli altri, dando il beneficio del dubbio, riconoscendo che abbiamo ricevuto da Dio tutto il bene che siamo o facciamo e i nostri talenti, chiedendo scusa, accettando il rischio di essere visti sbagliare…). Stiamo vincendo l’attaccamento quando ci vediamo nudi, limitati e bisognosi di Dio come tutti gli altri e ci sentiamo comunque amati.
►Scegliamo un paio di strategie per liberarci degli attaccamenti e , chiedendo la Grazia al Signore, pratichiamole ogni giorno in comportamenti concreti, prendendo nota anche dei progressi.
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Una volta liberi dagli attaccamenti sapremo amare meglio e, rimossi gli ostacoli, vedremo più
chiaramente la volontà di Dio per noi.
La meditazione di aprile è a cura di Tatum McWhirter