Posted On 03/10/2022

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by AVI Admin

La potenza di Dio nella mia debolezza

“Che cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Mc 10,17)

Quante volte abbiamo ascoltato questa domanda che il giovane ricco fa a Gesù? Quante volte anche noi ci siamo fatti la stessa domanda chiedendoci che cosa dobbiamo fare per avere una vita più serena, più bella, senza problemi?

Questo giovane ricco, osservante dei comandamenti, è una persona, diremmo oggi, che non fa male a nessuno, che all’apparenza ha tutto. Si avvicina a Gesù per porgli una domanda così semplice ma allo stesso tempo così densa di significato. Una domanda dalla quale si percepisce che pur vivendo una vita piena di cose da fare e di un certo prestigio, sente nel suo cuore un’inquietudine; cerca qualcosa che gli manca ed esprime questo suo disagio interiore a Gesù chiedendogli come si faccia ad avere la vita eterna cioè una vita felice, beata.

Il giovane aveva tutto quello che al mondo si potesse desiderare, eppure un’afflizione si celava nella sua anima. La sua esistenza, pur tanto invidiabile, non rivestiva ai suoi occhi un grande significato: gli mancava qualcosa. Il giovane aveva sentito parlare fin dall’infanzia di un’altra vita, di una vita eterna, una vita che è per sempre, ma soprattutto che è diversa da tutte quelle che si vivono nel mondo. Egli sapeva, come per istinto, che esisteva quella vita, ma non sapeva come fare per viverla.

E’ particolare in questa domanda, l’uso di due verbi: fare e avere.

Nella nostra società, vengono usati frequentemente: il fare e l’avere sembrano infatti essere le uniche strade per raggiungere la felicità, per ottenere tutto quello che vogliamo o per essere “qualcuno”.  Il mondo ci vuole perfetti e senza errori; è un mondo in cui è vietato mostrare la propria umanità fatta anche di limiti e di debolezze.

La nostra è una società che fa riferimento ad immagini-idolo. Viviamo in una cultura fatta di modelli e di icone generati dal mondo della pubblicità, dello sport, dello spettacolo, della televisione. L’apparire conta più dell’essere, o meglio: essere e apparire coincidono. Mostrare ma soprattutto mostrarsi sono diventati due punti cardine di questo nuovo mondo. L’apparenza sembra sempre più “impossessarsi” dell’aspetto interiore: l’immagine esteriore svuota quasi completamente l’interiorità e ti allontana dal tuo nucleo più profondo.

In una società che ci invita ad avere successo, ad essere i primi per avere la felicità, la risposta che Gesù dà al giovane ricco capovolge il modo di pensare e di cercare la vera felicità. Gesù invita il ragazzo a vendere quello che ha e a seguirlo. Come sappiamo il giovane ricco va via triste dopo aver ascoltato la risposta di Gesù. Come non capire il disagio di questo giovane ricco? Molto probabilmente anche noi saremmo andati via tristi; magari per tutta la vita abbiamo cercato di accumulare beni, successi, abbiamo puntato alla perfezione mostrando sempre la parte forte e migliore di noi, e ad un certo punto scopriamo che quello non porta alla vera felicità.

Giovanni Paolo II a riguardo scrive:

“Non si tratta qui soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere nell’obbedienza un comandamento. Si tratta, più radicalmente, di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre”.

Cercare la vita eterna, significa cercare Cristo. Imparare ad amare il Signore e abbracciare il Suo stile di vita umile e silenzioso. Desiderare Lui e Lui solo.

L’invito per noi, attraverso questa scena è quello di vendere quello che abbiamo e seguire Gesù. Cosa significa vendere quello che abbiamo? Non significa vendere la nostra casa, la nostra macchina … Il “vendere” del Signore è qualcosa di più profondo: vendere ciò che ci imprigiona interiormente, ciò che ci blocca e non ci fa vivere una vita beata. Affidare a Lui le nostre debolezze e i nostri limiti umani senza farci schiacciare da essi ma lasciare a Lui la possibilità di trasformali.

Come ho detto all’inizio di questa riflessione, nella domanda del giovane ricco ci sono due verbi che riguardano la nostra vita. Alla luce della fede – e non del mondo- ci dicono tanto.

La fede non è qualcosa da fare. L’amore di Dio non è un qualcosa da fare ma è una relazione da avere. Con Dio non ci sono dei meriti, non c’è qualcosa che devi fare per guadagnare l’amore di Dio. E’ una relazione. A volte si tratta semplicemente di stare in silenzio di fronte a lui con la nostra vita. Dal giovane ricco imparo che c’è qualcosa che ancora mi manca. Sì, perché il mio tesoro, il tuo tesoro deve essere in cielo. Mi chiedo allora: dov’è il mio tesoro? Dov’è l’attaccamento del mio cuore? Questo cambia il tuo modo di guardare le cose.

Dio non ha paura delle nostre debolezze, Lui vuole usarle. La Bibbia è piena di esempi di come a Dio piaccia servirsi di persone imperfette e comuni, per fare cose straordinarie, nonostante le loro debolezze.  San Paolo dice:

“Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi.” (2 Cor 4,7)

Come vasi comuni, siamo fragili e difettosi e ci rompiamo facilmente, ma Dio ci “userà”, se gli permettiamo di operare tramite le nostre debolezze.

E ancora

“Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.”  (2 Cor 12,10)

A prima vista questa pericope non ha senso: noi vogliamo essere liberati dalle nostre debolezze, non esserne contenti. Ma la contentezza è un’espressione di fede nella bontà di Dio. Ogni volta che ti senti debole Dio ti sta ricordando che dipendi da Lui.

Dio dà grazia agli umili; ma l’umiltà non consiste nello sminuirsi o nel negare le proprie forze, doti, abilità, ma consiste nel riconoscere anche le debolezze e lasciare che il Signore le abiti.

Proposito concreto

In questo mese chiedo al Signore la grazia di accogliere le mie debolezze e di non lasciarmi scoraggiare. Voglio accogliere nel mio cuore la richiesta che Gesù fa al giovane ricco: “ Va’, vendi quello che hai”. Voglio “vendere” qualcosa che mi schiaccia, mi opprime e non mi fa vivere una vita beata.

La meditazione di questo mese è di Francesca Di Leone

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