Posted On 02/02/2019

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by Ruth Kuefler

L’Offertorio: “Hai mutato il mio lamento in danza”

Un po’ più di due anni fa, ho vissuto un’esperienza che mi ha fortemente segnata. E’ venuto a bussare alla mia porta fratello dolore, come direbbe San Francesco. Avevo da poco subito un intervenuto chirurgico abbastanza semplice, che sembrava esser andato bene, ma di fatto il mio corpo faticava a riprendersi. In quei giorni ho ricevuto una rara mail da una mia carissima amica dai tempi dell’università, Sarah, che condivideva il momento difficilissimo che stava vivendo. Sarah è sempre stata un esempio di una fede e speranza incrollabili ed è famosa per la sua gioia e senso di umorismo in ogni situazione. Sapendo questo, ho subito capito la gravità del suo stato interiore quando Sarah ha supplicato me e altre amiche a pregare per lei, perché la sua fede rischiava di cedere per la rottura della relazione che lei sperava potesse essere il compimento della sua vocazione al matrimonio. Ho subito iniziato a pregare per lei affinché Gesù potesse consolare il suo cuore e rafforzare la sua fede. La notte dello stesso giorno in cui ho ricevuto la mail di Sarah e quindi ce l’avevo proprio nel cuore, mi sono sentita malissimo. Ho avuto dolori allucinanti all’ addome, come mai prima, vomito e febbre. Le consorelle mi hanno portato al pronto soccorso, dove sono stata in attesa per venti lunghissime ore prima di capire la causa del malessere. Stravolta dal dolore fisico, ero preda anche della confusione e della rabbia, “Come mai, Signore? Perché tutto questo dolore?” In ogni stanza, dal pronto soccorso al reparto, c’era sempre un crocifisso che mi fissava dalla parete. Facevo fatica a guardarlo però, perché ero arrabbiata con lui, non vedendo nessun senso nella mia situazione. L’unico pensiero lucido che mi ha accompagnato per tutte quelle ore era di non sprecare il dolore: dovevo offrirlo per Sarah. Soltanto quest’offerta ha dato un po’ di luce e senso a quello che vivevo. Non sapevo perché soffrivo, ma confidavo che, se l’avessi unito alla sofferenza di Gesù, un po’ di bene ne sarebbe venuto, e in particolare speravo venisse per la mia amica. Quando pensavo di non poter resistere un minuto in più, finalmente mi hanno diagnosticato un’occlusione intestinale, mi hanno operato di urgenza, e da lì, il cammino della ripresa.

Nella preghiera ho sentito il richiamo di condividervi questa storia perché riflette quello che succede realmente nell’offertorio della Messa. Quando il sacerdote offre il pane e il vino, noi siamo invitati ad offrire noi stessi con tutto quello che stiamo vivendo: sofferenze, preoccupazioni, confusione, ansia, speranze, desideri. Offriamo noi stessi con tutta la nostra umanità per essere trasformati nella divinità di Cristo, come i semplici elementi del pane e del vino diventano realmente il corpo e il sangue di Cristo. Vivere così l’offertorio nella Messa è un modo bellissimo per esercitare il nostro sacerdozio comune. Sì, perché in quanto battezzati, anche noi che non siamo ministri ordinati siamo chiamati a partecipare al sacerdozio di Cristo.

La figura del sacerdote, nel giudaismo e nelle altre religioni, aveva sempre la funzione di offrire i sacrifici. Il sacerdote è colui che offre, mentre il sacrificio è ciò che viene offerto. La grande novità del sacerdozio di Cristo è che in lui sacerdote e sacrificio si identificano. Lui non è una vittima passiva come l’animale nei riti antichi, ma sceglie liberamente di dare la sua vita. La Lettera agli Ebrei tenta di spiegare la diversità del sacerdozio cristiano:

“È impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri.

Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:

Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà.” (Eb 10, 5-7)

Partecipare al sacerdozio di Cristo vuol dire che possiamo e dovremmo offrire noi stessi e anche gli altri per essere trasformati dal potere straordinario di Cristo Sacerdote. È Lui che cambia la morte in Risurrezione, l’umano in divino, la confusione in senso, il dolore in gioia.

Partecipare al sacerdozio di Cristo vuol dire che possiamo e dovremmo offrire noi stessi e anche gli altri per essere trasformati dal potere straordinario di Cristo Sacerdote. È Lui che cambia la morte in Risurrezione, l’umano in divino, la confusione in senso, il dolore in gioia.
Il papa San Giovanni Paolo II, che ha molto sofferto fisicamente e non solo, ha scritto una stupenda lettera sul senso cristiano della sofferenza umana, Salvifici Doloris. Scrive che Cristo, “operando la nostra redenzione mediante la sua sofferenza, ha così elevato la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo” (SD, 19). In tutta la lettera, il Papa non spiega il perché della nostra sofferenza (fisica, psicologica o spirituale che sia), ma rivela il suo senso nascosto e il grandissimo potenziale di fecondità in essa contenuta. Afferma che “coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell’infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri” (SD, 27).

Ora, non pretendo che sia stata solo l’offerta della mia sofferenza in quel momento che abbia ottenuto per Sarah la trasformazione implorata, ma di fatto, è avvenuto, e per me è stato una conferma del potere reale dell’offertorio. Per ragioni a noi misteriose, Dio ha permesso la rottura e apparente morte di quella relazione così importante a Sarah, per dimostrarci ancora una volta che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Credo che noi riusciamo a vedere solo alcuni dei frutti, altri magari ci diverranno evidenti nel tempo, altri ancora solo nella vita eterna quando tutto sarà chiaro. Un frutto importante per me è stato il senso e la motivazione che l’offerta ha dato alla mia sofferenza. Senza questa intenzione vicina al mio cuore per cui offrire il dolore, avrei potuto facilmente sprofondare nella disperazione. C’è stata poi una trasformazione incredibile anche nella situazione di Sarah. In una conversazione telefonica che abbiamo avuto due mesi dopo, quando tutto era ancora buio pesto nella sua vita, mi ricordo che mi ha detto con tanta fede: “Questo è l’anno della fenice! Vedremo quale nuova vita il Signore vorrà darci in quest’anno!”. Oltre ad essere un antichissimo uccello mitologico, la fenice è anche un simbolo cristiano che rappresenta la risurrezione. Davvero il Signore ha voluto risorgere dalle ceneri nella vita di Sarah perché dopo altri sei mesi, lei e quell’uomo si sono rimessi insieme, come se il Signore dicesse ancora: “Non ricordate più le cose passate, non considerate più le cose antiche. Ecco, io faccio una cosa nuova; essa germoglierà; non la riconoscete? Sì, aprirò una strada nel deserto, farò scorrere fiumi nella solitudine” (Isaia 43:18,19). Rinnovati nel loro amore reciproco e rafforzati nella fiducia nel Signore, hanno camminato speditamente lungo la strada il Signore stava loro indicando. Pochi mesi fa ho avuto la gioia immensa di partecipare al loro matrimonio. Nella festa dopo la cerimonia, con cibo, vino, musica e tanto ballare, davvero abbiamo potuto dire con il salmista: “Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia!”
(Sal 30, 12).

Proposito concreto: La prossima volta che partecipo alla Messa, sarò attento al momento dell’offertorio del pane e del vino. Che cosa posso offrire al Signore? Che cosa mi pesa sul cuore, cosa mi toglie la pace, cosa non sopporto più? Esercitando il mio sacerdozio comune, offrirò questo e tutto me stesso sull’altare, sicuro che sarò trasformato dal suo potere divino.

  La meditazione di febbraio è a cura di Janel Olberding

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