9 Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. 10Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. 11Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. 12Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. 13Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.14Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. 15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». 19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Gesù dopo essere risorto appare prima a Maria di Magdalà, poi ai due discepoli di Emmaus e infine agli undici apostoli. Nonostante lui stesso abbia annunciato più volte quale sarebbe stata la sua sorte, i suoi discepoli che erano stati chiamati alla sua sequela, erano stati coinvolti nella sua vita e avevano appreso da lui un insegnamento autorevole per almeno tre anni, sono ancora impreparati: l’arresto, la passione e morte di Gesù li ha segnati terribilmente. La paura li paralizza tanto che non riescono a credere alle apparizioni del Risorto.
Mentre erano a tavola, Gesù apparve ai discepoli e vide nei loro occhi la paura, l’incredulità, la durezza del loro cuore: fanno fatica ad avere fede.
Come potranno annunciare la buona notizia se neppure loro credono? Gesù viene assunto in cielo ma il suo sguardo continua a sostenere i suoi discepoli; nonostante la loro poca fede, Gesù affida loro il compito della missione, proprio loro sono invitati a diventare testimoni della resurrezione di Gesù. La missione, esperienza fondamentale nella sequela di Cristo, viene espressa in questo vangelo con due verbi:
- andare: non indica semplicemente l’andare via dal proprio paese, andare lontano, ma come dice Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”, esprime soprattutto l’atteggiamento di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (n. 20). Allora prima di essere un movimento fisico del corpo, è un movimento del cuore che si “com-muove”.
- proclamare. La gioia di avere incontrato il Signore fa nascere l’esigenza di andare a raccontare la bella esperienza che si è vissuta.
Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato”. Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri.
Ogni cristiano è chiamato alla sequela di Cristo e nello stesso tempo al servizio missionario, che non è limitato a pochi prescelti, ma riguarda tutti i cristiani. “Predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15) è un mandato che vale anche per noi.
“In virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario” (EG 20)
Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, a volte siamo tentati di dire come il profeta Geremia: “Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”.
Ma anche a noi Dio risponde: “Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò” (Ger 1,6-7).
Quando ci sentiamo inadeguati, incapaci, deboli nell’annunciare e testimoniare la fede, non dobbiamo avere timore. L’evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, perciò si basa sulla sua forza e non sulla nostra.
Il Signore si fida di noi, delle nostre mani, della nostra voce; ci indica il modo di accorgerci che Lui è presente, che agisce con noi attraverso dei segni:
– scacciare i demòni: combattere la forza del male che distrugge la vita. Scacciare le nostre paure, i nostri peccati. Quado arriva la Parola di Gesù questi demòni scompaiono.
– parlare nuove lingue: vuol dire comunicare con gli altri in modo nuovo. A volte ci incontriamo con una persona che non abbiamo mai visto prima, ma sembra che la conosciamo già da tempo. Questo avviene perché parliamo la stessa lingua, la lingua dell’amore. La lingua nuova è la lingua dell’accoglienza, della condivisione.
– vincere il veleno: ci sono molte cose che avvelenano la convivenza. Molti pettegolezzi che distruggono la relazione tra le persone. Chi vive alla presenza di Dio, sa andare oltre per non soccombere sotto gli effetti di questo terribile veleno.
– curare i malati: dove c’è una coscienza più chiara e più viva della presenza di Dio, nasce anche una cura speciale verso le persone escluse ed emarginate, soprattutto verso i malati, facendoli sentire accolti e amati.
Dio quindi chiama noi, chiama proprio noi, che siamo fragili e incostanti, che siamo sommersi da tante preoccupazioni e agitazioni. Anche se il compito che ci viene affidato ci sembra grande e arduo, non ci dimentichiamo che la nostra forza si trova proprio nella fede. Poiché crediamo, ci abbandoniamo e nell’ abbandono fiducioso, le nostre povere mani di “pescatori” sono in grado di vivere questa missione.
Il nostro compito è quello di dire a noi stessi e a chi soffre: “Se riesci a credere all’amore e a vivere nell’amore, hai già trovato la salvezza”. Le esperienze di morte, di cattiveria e di sofferenza ci avvelenano e paralizzano. Quanto è facile piangersi addosso ed arrendersi di fronte alle difficoltà della vita! Credere è invece smettere di tenere conto solo della propria impotenza: Gesù ci promette la sua assistenza per affrontare il quotidiano. Egli è sempre con noi. Ascendendo al cielo, non è andato lontano, è andato verso l’intimo delle cose e delle persone e le sue mani sono annodate alle nostre, ancora più saldamente di prima.
Ma che cosa vuol dire essere missionari? Significa anzitutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l’invito a seguirlo, l’invito a guardare a Lui: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
La nostra missione è dare luce al mondo. “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo”. (Mt 5,13-16)
Un esempio autentico di questa luce che irradia i cuori di chi incontrano Dio è sicuramente la storia di Chiara Luce Badano, una ragazza morta a soli 19 anni. Una breve vita la sua, ma così intensa da lasciare un segno profondo nella memoria di chi l’ha conosciuta e in chi viene a contatto con lei oggi.
Chiara riusciva a trovare Gesù nei lontani, negli atei e tutta la sua vita è stata caratterizzata dall’amore concreto per tutti. Ogni sua giornata fu una” gemma da innalzare a Dio”, dando un senso eterno ad ogni gesto.
Lei non parlava di Gesù agli altri, lo portava con la sua vita. Diceva infatti: «Io non devo dire di Gesù, ma devo dare Gesù con il mio comportamento». La gioia di vivere, l’entusiasmo per le piccole cose, la contemplazione del creato, la felicità di godere dell’amicizia erano il nutrimento delle sue giornate. Nell’estate del 1988, durante una partita di tennis, sente un lancinante dolore alla spalla. Chiara ha un cancro maligno. Inizia il pellegrinaggio negli ospedali di Torino, una vera e propria via crucis. Deve subire un intervento e prima di entrare nella sala operatoria dice alla mamma: “Se dovessi morire, celebrate una bella Messa e di’ ai Gen che cantino forte”.Si sottopone alla chemioterapia e alle sedute di radioterapia, affrontando tutto come identificazione con i dolori di Cristo. Di fronte alla sofferenza ripete: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io». A chi l’avvicina, Chiara comunica serenità, pace e gioia. “Chiara Luce” – così amava chiamarla Chiara Lubich – lancia un messaggio ai suoi coetanei: “I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. Hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene”.
Il 7 ottobre 1990 saluta la mamma dicendo: “Sii felice, io lo sono!” e va incontro allo Sposo.
La sua vita è la testimonianza di un sì incondizionato all’amore di Dio, un sì ripetuto fin da piccola, un sì che, con i suoi genitori, con i giovani con cui condivideva la stessa scelta di vita, ha saputo trasformare la malattia in un cammino luminoso verso la pienezza della Vita.
PROPOSITO CONCRETO
Anche noi siamo chiamati ad essere “Gesù oggi” che fa conoscere e sperimentare l’amore di Dio Padre alle persone che incontriamo, con le quali viviamo, e quelle che dobbiamo andare a cercare per aiutarle nelle cose importanti della fede e della vita.
La meditazione di agosto e’ a cura di Francesca Di Leone