Era un mezzogiorno di 7-8 anni fa… Solitamente, dopo le lezioni all’università Lateranense, tornavo in comunità in macchina, con i confratelli. Quel giorno no. Zaino in spalla, vado verso la fermata della metropolitana, per tornare a casa con i mezzi pubblici. Scendo le scale mobili e arrivo alla banchina a fianco ai binari. Aspetto…
Un ragazzo, sui 17-18 anni si avvicina, mi domanda: “Sai qual è la fermata più vicina a ponte Milvio?” E io: “Certo, scendi a piazzale Flaminio, prendi il tram, poi scendi…aspetta, molto più facile, vieni con me, gran parte del tragitto è lo stesso che devo fare io per andare a casa!” Il ragazzo è felice: “Ok, allora andiamo insieme, grazie!” “Come ti chiami?” “Michele” “Piacere, io sono Mirco” Ci stringiamo la mano e cominciamo a chiacchierare.
Fin dalle prime parole ho l’impressione di esser davanti ad un ragazzo che sta vivendo un momento molto difficile, con un cuore appesantito. Dopo pochi minuti condivido con lui il fatto di essere un seminarista: “Sto studiando filosofia e poi teologia per diventare sacerdote in una comunità religiosa…” Michele è un po’ perplesso, forse non se l’aspettava (ero vestito normalmente, a quei tempi non portavo il clergyman), mi scruta curioso, ai suoi occhi ormai non sono più un ragazzo come tutti gli altri, ho qualcosa di “strano”. Passano alcuni istanti e dice: “Io non credo in Dio, Dio non esiste…”
Boom, boom! Che fare? Cosa dire? Mi sento impreparato. Gesù, aiutami! Angelo custode di Michele, prepara il suo cuore. Non ricordo le parole che dissi, forse perché non dissi nulla…però ascoltavo. Michele continua: “C’è troppa sofferenza, troppo dolore, Dio non può esistere, non ha senso…” “Perché dici questo?” “La mia vita non ha senso, guarda…” E tira su le maniche della maglia scoprendo gli avanbracci. Rimango quasi impietrito. Lungo entrambi gli avanbracci si vedono chiaramente molteplici cicatrici di profondi tagli trasversali. La mia non è più solo un’impressione, questo ragazzo veramente ha sofferto e soffre tanto.
Cosa posso fare io? È la prima volta che mi capita, sono all’inizio della formazione in comunità… Sembra tutto surreale, la metropolitana continua a correre e fermarsi… Quanto tempo è passato? “Ho cercato di togliermi la vita già due volte, ma non ce l’ho mai fatta. Mi hanno trovato entrambe le volte appena in tempo”. Lo dice con tristezza, come se si fosse infranto il sogno più bello che aveva. Come si può desiderare di morire? Gesù, perché questo ragazzo non vuole vivere? Continuavo ad ascoltare, sempre più attento. Michele continua: “L’ultima volta sono andato in una camera dove nessuno entra mai, vivo in un appartamento molto grande, non ho mai visto entrare né mio papà né mia mamma lì. Mi sono seduto a terra e con un coltello ho cominciato a tagliarmi le vene del braccio… Quando ormai stavo per svenire è entrata mia mamma e ha chiamato il pronto soccorso. Perché? Come faceva a sapere che ero lì? Perché non qualche minuto più tardi?” “Michele, tu non dovevi morire, tu devi vivere. Qualcuno ti vuole bene, tua mamma ti vuole bene. Dio non vuole la tua morte, se no non ti avrebbe donato la vita” “…Non lo so, so solo che è un mistero…mia mamma che sbuca dal nulla… non è un caso che ho incontrato te oggi…” “È un mistero, hai ragione, noi la chiamiamo Provvidenza, cioè come Dio si prende cura di noi e ha un bel progetto per ognuno di noi…”
Nel frattempo abbiamo fatto tutto il tragitto con metropolitana e tram, dovrei scendere, ma mi offro di accompagnare Michele fino a ponte Milvio. Lui accetta. Quando ci salutiamo mi ringrazia e dice: “Se dovessimo incontrarci di nuovo in giro per Roma, allora crederò veramente che esiste Dio come dici tu”. “Lo scopriremo! A Dio nulla è impossibile, mi ha fatto piacere conoscerti, pregherò per te Michele…”
Questa esperienza ha lasciato un segno nella mia vita. Michele non l’ho più incontrato. Ma forse quel giorno ha incontrato il Signore! Nei mesi seguenti, quando ero sui mezzi pubblici, mi guardavo continuamente in giro alla ricerca del volto di Michele, ma niente, sono passati vari anni e non l’ho più incontrato. Probabilmente non saprò mai (tranne quando sarò in Paradiso) se Michele ha scoperto la felicità, il bello di vivere, l’amore che lo tiene in vita, la presenza di Dio nel suo cuore. Sono certo però che Dio me l’ha fatto incontrare per un motivo, se non altro per ascoltarlo, per lasciarlo parlare. L’ascolto silenzioso può cambiare la vita.
Anche senza parlare comunichiamo un messaggio: “Sei importante per me, ti dono parte del mio tempo, ti ascolto, non sei da solo…” Tante volte nell’esperienza apostolica il Signore mi ha chiesto di gettare un seme e non mi ha mostrato il suo germogliare e diventare una pianticella. Ci pensa Lui a far crescere. Come battezzati tutti noi abbiamo il diritto e dovere di piantare questi semi nel cuore delle persone che incrociamo nel nostro cammino quotidiano. Alcune volte per piantare questo seme basta un ascolto generoso, un mettersi a fianco, un farsi cuore accogliente che non giudica ma condivide empaticamente quel dolore, quella sofferenza, quella difficoltà. Alcune volte Gesù ci chiede semplicemente di portare per qualche istante il peso che una persona sta portando. Le parole, se necessarie, verranno, sarà lo Spirito Santo a posarle sulla nostra lingua…come diceva San Francesco d’Assisi: “Predicate il Vangelo, e se è proprio necessario usate anche le parole”.
La meditazione di ottobre e di Padre Mirco.