A volte può capitarti di sentirti un po’ tiepido nel tuo rapporto con Dio, la preghiera è diventata faticosa e ripetitiva e ti sembra che il Signore si sia dimenticato di te.
Sei pigro, preso da altri interessi; rubi qua e là attimi di preghiera, tra il tempo dedicato al lavoro e quello rivolto alla famiglia; non senti più il fervore di una volta quando, felice, ti fermavi anche un’ora davanti al Santissimo con tanta gioia e trasporto del cuore.
E ora? Dov’è finito l’entusiasmo?
Ti chiedi: “E’ una cosa grave? Devo spaventarmi? Cosa posso fare?”
1. Il primo passo da fare, secondo me, è quello di dare un nome a ciò che ti sta accadendo, senza paura di fare verità in te stesso, perché Gesù ti rassicura dicendo: “la Verità vi farà liberi” (Gv8,32)
“Dare un nome”, nella cultura biblica, designa la facoltà di dominare, di gestire; quella (facoltà) propria di chi, in quanto superiore, esercita una responsabilità. Nel comando di “dare un nome”, Dio assegna alla creatura umana una podestà, una responsabilità delegata. Potrebbe farlo Lui stesso, ma Dio delega alla creatura umana di “dare un nome”. (cit. dal sito Apologetica e filosofia cristiana).
Dunque, fermati a vedere quali pensieri, sentimenti ed emozioni si muovono dentro di te, Dio con la sua Grazia ti dà la capacità di farlo. Se dai uno o più nomi a ciò che stai vivendo, questa consapevolezza allontana da te la paura dell’ignoto e ti permette di prenderti cura della tua vita. Puoi, per esempio, dirti: “Non ho voglia di pregare, di stare con Dio, di impegnarmi nella vita dello Spirito; sento stanchezza, depressione, fatica, non senso; penso che non riuscirò ad andare avanti, ecc …”. Dai un nome al tuo disagio e non liquidare il tutto pensando: “… è solo un periodo … passerà …”. Dio stesso desidera che tu dia un nome alla tua aridità. Tutto ciò che è occulto infatti, fa paura e ti tiene in schiavitù. Invece Dio è luce (cfr Gv 1,5), e vuole aiutarti a fare luce dentro di te. Chiedi a Lui questa luce! Se ti è più facile, scrivi su un foglio tutto ciò che stai vivendo e portalo davanti a Gesù, chiedendogli di aiutarti a dare un nome alle tue fatiche.
2. Una volta dato il nome, sei chiamato alla responsabilità.
Adamo è chiamato a “custodire” il creato e le creature a cui ha dato un nome, e quindi, anche a prendersi cura di se stesso.
Chiediti allora: “Come posso prendermi cura di quello che sto vivendo?”.
Un elemento sicuramente importante che ti può aiutare, è quello di essere accompagnato da una guida spirituale, che passo dopo passo insieme alla Grazia di Dio ti condurrà sempre di più a leggere ciò che si muove dentro di te e a trovare il modo migliore per prendertene cura.
C’è una tentazione che ti si può presentare in questo periodo di desolazione: quella di chiuderti in te stesso, pensando che nessuno ti possa davvero capire; i tuoi peccati li trovi troppo vergognosi per raccontarli in confessione, soprattutto se in questo stato di stanchezza generale, tendi a ripetere sempre i medesimi. Questo ti umilia e ti abbatte.
Il demonio stesso ti “consiglia vivamente” di stare alla larga dal confessionale: “Tanto non risolverai niente!”
E’ bene allora ricordare che il Signore non si stanca mai di noi, non è annoiato dai nostri peccati, non esclama: “Sei ancora a questo punto?! Non cambi mai!”. Questa voce rimproverante, non proviene sicuramente da Dio, ma dal nemico che vuole scoraggiarti e farti rimandare la tua confessione: “… la farò più in là …”. Questo procrastinare, pur essendo mosso a volte da buone ragioni (“devo studiare, la chiesa è lontana, fa freddo per uscire …”), in realtà ti espone ancora di più alla stanchezza spirituale. Ti priva infatti di quella Grazia del perdono che ti tirerebbe fuori da questo stato e ti lascia nella irrequietezza e nella svogliatezza.
Nel tempo liturgico di Quaresima potrebbe essere un buon proposito quello di accostarti più spesso al Sacramento della Riconciliazione, confessando anche di aver assecondato pensieri di stanchezza e demotivazione.
Ciò ti permetterà di ricevere tutto quell’amore che Dio ti dona per rialzarti, riprendere le forze e andare avanti fiducioso.
3. Un invito particolare sento di dover fare a tutti noi nei momenti di desolazione:
non scoraggiamoci mai!
Lascio parlare qui il Venerabile Pio Bruno Lanteri, fondatore degli Oblati di Maria Vergine, che così bene esprime ciò che vorrei dire:
“… L’assecondare la malinconia e la tristezza, lo scoraggiarsi è assecondare lo spirito del tentatore; poiché lo spirito di Dio ci porta alla confidenza, alla tranquillità e alla pace. Non stupiamoci quando ci troviamo nell’aridità, questa è una situazione umana possibile, ci guadagneremo sopra con la pazienza e la perseveranza… Quando qualche tentazione si affaccia al nostro cuore, stiamo attenti a non fare segni esterni per ributtarla. Un atto di amore di Dio, o di disprezzo della tentazione basta… Disprezziamo pure il dubbio di non aver usato diligenza nello scacciarle. Quando anche vi fosse stata negligenza, o mancanza nostra, un atto d’amore di Dio rimedia a tutto senza tanti esami, e turbamenti …” (Ven. Pio Bruno Lanteri, Direttorio spirituale).
Rinunciare, dunque, anche al dubbio di non aver combattuto abbastanza contro la tentazione,
per rimettere se stessi nelle mani del Signore. Quante volte stiamo lì a rimuginare su quanto abbiamo fatto o non abbiamo fatto, chiusi in noi stessi, nel nostro senso di colpa, per una mania di perfezionismo che non è dolore per i peccati commessi, ma rabbia e tristezza per non esserci comportati come avremmo voluto. E’ crollata quella immagine perfetta che avevamo di noi, questo fatto proprio non lo sopportiamo!
Il senso di colpa ci schiaccia e ci fa girare a vuoto dentro i nostri pensieri, per cercare di rimediare inutilmente alle nostre mancanze, oramai passate. Il senso del peccato, invece, ci apre ad un Altro, alla relazione con Dio, all’amore di Dio che è sempre pronto a guarire le nostre ferite, ci proietta fuori dal nostro ego e ci apre ad accogliere il perdono.
Quando facciamo il nostro esame di coscienza chiediamoci, dunque, se siamo pentiti per non aver corrisposto all’amore di Dio, oppure se siamo arrabbiati con noi stessi per non essere stati in grado di seguire un ideale di perfezione, irraggiungibile.
Se volete, vi faccio un esempio concreto di quanto vado dicendo.
Supponiamo che io mi trovi insieme ad un gruppo di colleghi che stanno parlando male di una persona assente e che io mi unisca a questa maldicenza, contribuendo con le mie parole a mettere in cattiva luce il collega. Cosa farò quando mi renderò conto di aver sbagliato?
Potrò scegliere tra due tipi di reazioni:
- Continuare a tormentarmi chiedendomi come sia stato possibile per me, cadere così in basso. “Proprio io che prego tutti i giorni, io che dovrei essere di esempio per i miei colleghi, io che do sempre buoni consigli agli altri, io che sono una persona per bene …!”. IO, IO, IO, solo io …
- Riconoscere umilmente che mi sono lasciato tentare dal male; chiedere perdono al Signore per aver ferito un suo figlio; pregare per quella persona e confessare questo peccato, confidando nella misericordia di Dio che tutto copre e tutto sana.
Cosa sceglieresti tu?
Proposito per questo mese: farò la sera un esame di coscienza, chiedendo a Dio di aiutarmi a dare un nome alle difficoltà che ho vissuto, consegnandole alla sua Misericordia, senza perdermi in inutili sensi di colpa.
La meditazione di questo mese è di Simona Panico