Quando ero bambina, all’inizio dell’Avvento, mia mamma metteva sempre, sul tavolo del salone, una culla vuota per Gesù Bambino e, ogni volta che qualcuno in famiglia faceva una buona azione, aggiungeva un po’ di paglia alla culla. L’idea era quella di costruire un letto morbido per Gesù Bambino attraverso le offerte di ciascun componente della famiglia. Mia mamma ha iniziato questa tradizione il primo anno in cui ero abbastanza grande per capirla e parteciparvi; mi ricordo ancora la sua spiegazione sull’importanza di questa pratica: “Se vogliamo fare una culla per Gesù Bambino, dobbiamo fare abbastanza buone azioni per dare a Gesù Bambino un letto comodo per quando nascerà a Natale. Se non facciamo abbastanza buone azioni, il suo letto sarà duro e scomodo. Sei pronta a farlo?”
Da adulta continuo ogni anno a vivere il tempo dell’Avvento come momento dell’anno per preparare il mio cuore alla nascita di Gesù Bambino, anche se non costruisco più una culla fisica come avveniva durante la mia infanzia. Il tempo dell’Avvento continua ad essere per me uno dei tempi liturgici preferiti, perché tutta la nostra attenzione è focalizzata sull’attesa della venuta del nostro Signore.
L’Avvento scorso, però, il Signore mi ha sorpreso. È stato difficile entrare nel clima di attesa, finché non ho capito che ciò che percepivo non era più la Sua venuta come il Bambino Gesù, ma come Sposo. Il mio Sposo. L’unica risposta possibile era di offrirGli tutto quello che avevo e di passare più tempo in preghiera, accogliendoLo e ringraziandoLo per la Sua presenza. Non potevo costruirGli una culla, ma cercavo di offrirGli una casa nel mio cuore. Anche se non era il solito Avvento, fatto di presepe e di luci, lo consideravo un tempo di grazia immensa per me; era incredibilmente bello ricevere il Signore in un modo così speciale, come Sposo.
Ma…non è forse questo quello che sperimentiamo tutti noi ad ogni Messa? Non riceviamo forse lo Sposo ogni domenica o tutte le volte in cui partecipiamo alla Messa, nell’Eucaristia? Aver ricevuto lo Sposo durante l’Avvento mi è sembrato qualcosa di speciale perché era fuori dall’ordinario, ma in realtà il nostro ricevere lo Sposo in modo “ordinario”, nell’Eucaristia, è tutt’altro che ordinario. È qualcosa di straordinario, e l’esperienza che ho vissuto durante l’Avvento di quest’anno mi ha proprio aiutato a riflettere di più su come ricevo il Signore nell’Eucaristia, quando Lui viene come Sposo della Chiesa.
Spesso riflettiamo come Chiesa sulla seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi e, ogni volta che leggiamo i Vangeli, meditiamo sulla Sua prima venuta, ossia quando è sceso sulla Terra come un neonato il giorno di Natale. Oggi, ci troviamo tra queste due venute; nessuno di noi era vivo duemila anni fa per fare esperienza diretta della prima venuta del Signore e chissà se vedremo la Sua seconda venuta, che forse avverrà durante la nostra vita, ma forse no. Trovandoci pertanto tra queste due venute, viviamo la Sua prima venuta come ricordo e la Sua seconda venuta come attesa. Nell’Eucaristia, però, possiamo ricevere oggi la Sua terza venuta, la Sua venuta nel “ qui e ora”, come Sposo della Chiesa. Durante la consacrazione eucaristica partecipiamo al momento culminante in cui Gesù diede la Sua vita per noi durante la Sua prima venuta. Poi il sacerdote ci invita a guardare verso il Banchetto di Nozze Celesti che seguirà la seconda venuta di Gesù, quando dice: “Beati gli invitati alla Cena del Signore”. L’Eucaristia è il ponte tra la prima e la seconda venuta di Gesù; mentre ricordiamo la Sua prima venuta e attendiamo la seconda, noi andiamo in processione verso l’altare per riceverLo nella Sua terza venuta – nell’Eucaristia – come nostro Sposo. Riconoscendo l’immenso dono del Signore in questa terza venuta, come potremmo accoglierLo al meglio? Dovremmo ricordare un episodio della Sua prima venuta, quello dell’incontro con Maria e Marta. Gesù visita le sorelle e Marta trascorre tutto il tempo preparando il cibo e servendo il Signore, mentre Maria siede ai Suoi piedi e gode della Sua presenza. Come molti di voi sanno, di solito noi Apostole cerchiamo di passare più o meno quindici minuti godendo della presenza del Signore dopo averLo ricevuto nell’Eucaristia, riposando in Lui e ringraziandoLo per la Sua presenza. Detto questo, la lezione di Maria e Marta non è quella di essere solo Maria, ma di essere sia Maria che Marta. Non possiamo sederci con il nostro Ospite se non ci siamo preparati per il nostro Ospite; dobbiamo fare tutte e due le cose. Dobbiamo essere sia Maria che Marta.
Per me, la parte di Marta avviene durante l’offertorio. Quando i doni vengono portati all’altare – il pane, il vino, il cesto di raccolta – offro a Gesù tutto quello che ho, proprio come ho fatto in questo Avvento. Gli offro la mia gratitudine per le Sue molte grazie, Gli offro le mie sofferenze e sfide, Gli offro il mio lavoro e la mia missione. Metto tutto sull’altare in modo che quando Egli dà la Sua vita per noi durante la consacrazione e la mette sull’altare, non trovi un altare freddo, duro e scomodo, ma un letto morbido, fatto con le mie offerte, proprio come il letto di paglia che facevo da piccola per Gesù Bambino. Dopo aver dato queste offerte al Signore, ho più spazio nel mio cuore per accogliere Lui e il dono della Sua vita. Sono aperta a Lui e concentrata in modo da poterGli prestare tutta la mia attenzione, dopo averLo ricevuto nell’Eucaristia, proprio come ha fatto Maria, la sorella di Marta, nella casa di Betania. Poi mi riposo con il mio Sposo, nell’amore e nella gratitudine, e Gli permetto di trasformarmi, facendomi lentamente una carne sola con Lui – facendomi cristiana.
Per me si tratta di una sola parola: Accogliere. Si tratta di accogliere il nostro Sposo e di accoglierLo bene.
Lui viene. Come Lo accoglierai?
Proposito concreto:
Questo mese passerò qualche minuto prima di ogni Messa riflettendo su ciò che posso mettere sull’altare durante l’offertorio e rimarrò per qualche minuto dopo la Messa, accogliendo il Signore nel mio cuore e nel mio corpo, ringraziandoLo per la Sua presenza e lasciando che Lui mi trasformi.
La meditazione di agosto è a cura di Catherine Porter