Che cosa sceglieresti: un viaggio tranquillo su una nave, oppure un giro in kayak in un fiume di montagna?
Prima di tentare una risposta a questa domanda, facciamo un passo indietro per ascoltare un invito da Papa Francesco, da una sua recente lettera ai giovani:
«Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro».[1]
Rischiare non è sempre tanto attraente per noi. Una ricerca veloce della voce “rischio” nel dizionario ci fornisce delle connotazioni un po’ preoccupanti:
rischio ‹rì·schio› s.m. (pl. -chi)
- Eventualità di subire un danno:
- (ECON/COMM). L’eventualità di una perdita
Se rischiare può essere così pericoloso, allora perché farlo? Perché lasciare le nostre sicurezze per fare queste “scelte audaci” di cui parla il Papa? Forse ci può aiutare ascoltare delle testimonianze di persone che hanno rischiato qualcosa e non si sono pentite:
Scrive un giovane: «La cosa più rischiosa per me era sposarmi. È stato rischioso perché era un salto decisivo nel buio, in ciò che non conoscevo. Un atto di fiducia nella persona e in Dio». Un’altra persona, una donna, condivide che ha dovuto andare contro la volontà della sua famiglia d’origine per sposare l’uomo che amava. Anche quando ha scoperto che la loro bimba aveva la sindrome di Down, non si è pentita della sua scelta, ma ha cercato di affidarsi al Signore e alla cura materna di Maria.
Ascoltando varie testimonianze, sembra che la motivazione più forte nell’intraprendere dei rischi sia la ricerca di relazione in qualche forma. I rischi più alti che le persone mi hanno condiviso non implicavano lo skydive o gli sport estremi ma invece vulnerabilità e fiducia.
«I miei azzardi coinvolgevano sempre più che altro il mio cuore e il mio senso di identità», scrive una giovane donna. Un’altra condivide della volta in cui ha fatto un salto di fede quando si è aperta riguardo alla sua battaglia contro la depressione: «È stata una prospettiva rischiosa perché all’epoca, chiedere aiuto e svelare alcuni dei mei pensieri cupi voleva dire essere ricoverato in una clinica per giovani». Ma non si è pentita di quell’atto di fiducia, perché alla fine le ha consentito di andare avanti con gli studi, laurearsi, e trovare il lavoro dei suoi sogni.
Fiducia. Vulnerabilità. Relazione.
Ma cosa vuol dire tutto questo per noi seguaci di Gesù Cristo? Cosa vuol dire intraprendere dei rischi per Dio? Come facciamo quelle “scelte audaci” di cui parla Papa Francesco?
Sicuramente possiamo trovare ispirazione nelle narrazioni dei grandi patriarchi e profeti, raccontate nella Parola di Dio. L’Antico testamento è pieno di storie di uomini e donne che sono stati scelti da Dio a vivere una nuova chiamata, aprire una nuova strada, e correre dei pericoli inaspettati. Il profeta Geremia è solo un esempio, e probabilmente tanti di noi possiamo ritrovarci nella sua storia:
«Mi fu rivolta questa parola del Signore:
“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni”.
Risposi: “Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”». (Ger 1,4-6)
Riconoscere i nostri limiti e la nostra povertà ci può paralizzare per la paura. Possiamo dubitare della nostra capacità di seguire e di servire il Signore. Ma è proprio lì che il Signore viene a sollevare la nostra testa per incontrare il suo sguardo d’amore, e ci ricorda: Sono io che ti chiamo. Ti darò la grazia.
Ecco come ha fatto Geremia ad andare avanti. Lui ammette che ha anche provato a smettere di parlare di Dio, ha cercato di dimenticare il Signore e non profetare più, ma non poteva trattenersi: «Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo»Ger 20,9).
È solo il fuoco ardente dell’amore di Dio che ci può spronare a correre quei rischi nella vita che sono importanti.
Come reitera Papa Francesco: «Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: “Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti” (Ger 1,8)».
O come un famoso adagio dice: «Dio non chiama chi è capace — rende capace chi è chiamato!».
Certo, rischiare ci costa a volte nella vita. Possiamo finire per essere feriti o delusi. E se siamo discepoli di Gesù Cristo, dovremo prendere la nostra croce per seguire Lui. La domanda sorge spontanea: ma, vale proprio la pena tutto ‘sto rischio? Vale la pena dare due anni della mia vita per essere missionaria? Vale la pena sacrificare l’intimità coniugale e dei figli miei perché mi sento chiamato al sacerdozio? Vale la pena essere fedele a mio marito per sempre? Vale la pena lasciare il mio lavoro e dipendere dal salario del mio coniuge per passare più tempo con i figli? Vale la pena diventare diacono permanente per poter servire la Chiesa?
Tutti noi dobbiamo confrontarci con domande e scelte che ci sfidano a crescere nel coraggio e nella fiducia. Ma allora, tornando alla nostra domanda iniziale riguardo al viaggio kayak contro il tragitto tranquillo in nave a vapore: quale sceglieresti tu?
Ecco la domanda che Dio ha posto a me quando mi stavo preparando a fare i voti da Apostola della Vita Interiore. Specialmente durante gli ultimi mesi prima della mia professione, ero alle prese con tante paure e tanti dubbi. Il tentatore stava cercando di convincermi della bugia che non ero adatta per la vita consacrata: «Ma che religiosa credi di essere?». Ma il Signore mi ha incontrato nelle mie paure con un’immagine molto forte. Mentre si avvicinavano i miei voti e io sapevo che “era finita”, istintivamente mi sentivo quasi intrappolata: non ero semplicemente “in discernimento”, non più “in formazione”: era arrivato il momento di dire “sì”. Niente porta posteriore da cui uscire di nascosto, nessuna finestra da cui scappare.
Mentre pregavo con la consapevolezza che era arrivato il momento di dovere dire “sì”, mi è venuta in mente l’immagine delle sponde di un fiume che pian piano si restringevano. Mentre durante i miei anni di college in Kansas le mie opzioni erano illimitate e avevo un mondo di possibilità davanti a me, adesso, per poter dire di “sì” a questa vocazione, a questa comunità, a questa chiamata qui, dovevo dire di “no” a tante altre cose. Da un viaggio tranquillo in un battello sul Mississippi, mi sono trovata nel torrente stretto e tumultuoso di un passo di montagna.
Ma poi mi sono accorta: sì, questo viaggio sembra all’inizio più spaventoso, ma rispetto a quel grande fiume, lento e pigro, tutto sicuro e sotto controllo, qui le acque hanno direzione, si muovono, c’è vita qui, c’è energia. C’è un’avventura che vale la pena intraprendere. C’è amore da scoprire. C’è una Guida che mi porta. C’è il rischio di vivere la fedeltà a una chiamata, ma io lo voglio correre.
Così, quel fiume di montagna si è trasformato da un pericolo ad un invito emozionante e gratificante. E sapevo nel profondo del cuore: sì, ne vale la pena. Io ci sto.
Proposito concreto:
Durante la preghiera personale, possiamo portare una di queste domande al Signore: 1. Pensa ad una situazione in cui hai rischiato qualcosa: Gesù, ne è valsa la pena? Perché? 2. Prega con il racconto di Geremia; (Ger Cap. 1 e 20): Signore, mi stai chiamando a qualcosa di grande? Qualcosa di nuovo e inaspettato? Mi sto frenando in qualche modo? Perché? 3. Prega con questa citazione di C.S. Lewis: Ho mai chiuso il mio cuore? Signore c’è una relazione in cui mi chiedi di essere più vulnerabile?
|
La meditazione di settembre è a cura di Ruth.
1]https://press.vatican.va/content/salastampa/it/
bollettino/pubblico/2017/01/13/0022/00051.html