Posted On 21/04/2015

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by Ruth Kuefler

Vivere il Mistero Pasquale nella preghiera

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv. 12,24).

Nel nostro cammino spirituale dopo esserci riproposti fermamente di approfondire il nostro rapporto con Gesù ed esserci incontrati con Lui quotidianamente attraverso la sua Parola nella Scrittura, possiamo scoprire che la nostra esperienza di preghiera corre parallela a diversi momenti della vita di Gesù, particolarmente a quelli del Mistero Pasquale. Attraverso la nostra preghiera, il Signore ci permette di entrare nella sua passione, sepoltura e risurrezione così come nei suoi tre anni di ministero pubblico.

È possibile che all’inizio del nostro cammino con il Signore, appena dopo essere stati chiamati da Lui ad una sequela più profonda, anche noi come i discepoli, abbiamo lasciato da parte il nostro «uomo vecchio» per seguire il Signore, così affascinati dalle meraviglie che Lui ha compiuto nella nostra vita e in quella di chi ci sta intorno.

In preghiera gustiamo la vicinanza del Signore e la sua azione nella nostra anima. Non c’è molto spazio alla delusione o allo scoraggiamento perché il Signore sembra rivelarsi secondo le nostre aspettative o perfino in modo assai piacevole oltre quanto possiamo immaginare. A questo punto il canto della nostra anima sembra riecheggiare le parole di Pietro sul monte Tabor: «Signore, come è bello essere qui», tanto grandi e meravigliosi sono l’amore, la gioia e la pace che Egli ci rivela.

Come sappiamo, queste forti iniziali esperienze di preghiera alla fine lasciano il passo a qualcosa di molto più inaspettato e spiazzante: come gli apostoli, anche noi siamo scandalizzati dalla contraddizione della croce. Fino a questo punto, abbiamo creduto di sapere dove il Signore ci stesse conducendo. Dopo tutto, le folle erano attratte da noi e Gesù aveva preannunciato un nuovo ordine e ci aveva promesso dei posti privilegiati nel suo Regno! Ma anche noi ignoriamo, come gli apostoli, la sua predizione della passione, presumendo che la nostra vita di preghiera debba semplicemente essere fatta di consolazione, priva di ogni sacrificio. Improvvisamente ci troviamo con il Signore sulla sua croce, gridando: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Facciamo fatica a capire come siamo arrivati a questo punto e come questo possa essere parte del piano di Dio per la nostra felicità.

La preghiera sulla croce è naturalmente disagevole e ci porta a ribellarci contro i chiodi della desolazione che ci tengono legati al nostro posto, e cerchiamo di ritrovare qualcosa della dolce consolazione del passato. È qui che scopriamo quanto siamo fragili e sperimentiamo la nostra mancanza di fedeltà nell’avversità. Quanto era più facile essere veri con il Signore quando la sua mano piena di consolazioni era con noi! La nostra unica opzione possibile a questo punto sulla croce è, come Gesù, rimettersi alla volontà di Dio e abbandonarci a Lui in un dono totale di noi stessi. Gli offriamo allora la preghiera: «Signore, non capisco, ma confido che questo sia parte del tuo piano e che da questa mia sofferenza trarrai un bene più grande, anche se non riesco a vederlo ora».

Naturalmente, la nostra esperienza della croce nella nostra vita e nella nostra preghiera non è mai trascurata («se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» Lc 9,23) perché il Signore sa che ne abbiamo bisogno, ma ad un certo punto possiamo passare dal dolore della croce all’oscurità della tomba. Inizialmente questa oscurità è inconsueta e preoccupante, ma dopo un po’, possiamo abituarci ad essa perché traiamo un certo qual conforto da questo periodo di transizione tra la croce e la risurrezione. Nella nostra preghiera però non siamo chiamati a rimanere in questo stato: nel piano di Dio la tomba non doveva essere vista come la destinazione finale. La tomba è una tappa e nessuno vuole stare fermo ad una tappa più a lungo del necessario. È relativamente facile che il nostro tempo con il Signore in preghiera sia senza vita, confinato nelle nostre ristrette percezioni di quello che la preghiera dovrebbe sembrare.

Dalla tomba, il Signore ci chiama di nuovo ad essere nella luce e rimuove la pietra della nostra prigione rivelando la sua vita gloriosa, non semplicemente la sua vita terrena a cui eravamo originariamente abituati. Dopo alcuni giorni nell’oscurità assoluta questa nuova luce inizialmente è percepita come fastidiosa e faticosa ma in un modo diverso dalla croce. A questo punto siamo chiamati ad un salto di fede nella cecità sconosciuta che è davanti a noi. C’è la tentazione di tirarsi indietro, di confinare la nostra preghiera allo spazio ristretto della nostra tomba perché è tutto quello che conosciamo.

Non ci dobbiamo chiudere in noi stessi quando preghiamo, riducendo il nostro incontro con il Signore ad una semplice routine; piuttosto dobbiamo aprirci coscientemente all’azione dello Spirito Santo, il vero protagonista della nostra preghiera. È attraverso lo Spirito Santo che il Signore fa nuove tutte le cose; perciò possiamo dire di essere stati nella tomba troppo a lungo se la preghiera è diventata noiosa, prevedibile e senza vita. Sappiamo che è lo Spirito Santo a guidarci nella nostra preghiera e non semplicemente la nostra stanca vecchia routine, quando siamo guidati a fare passi più grandi in un amore manifestato in atti concreti di virtù durante tutta la nostra giornata. Dove c’è crescita in preghiera c’è sempre crescita nella virtù e in generosità verso Dio e il fratello.

Durante la Pasqua di questa vita nuova siamo chiamati a seguire il Signore fuori dalla tomba dentro la sua luce meravigliosa. Lasciare la «tomba» nella nostra preghiera e nel rapporto con il Signore non è una decisione unica fatta una volta per tutte, ma un atto di fede quotidiano nel quale ripetutamente abbandoniamo noi stessi alla cura del nostro Padre Provvidente. Dicendo il nostro «fiat», il nostro «sì» con Maria a ciò che ancora non comprendiamo, guadagniamo l’accesso alla vera libertà, come quella di nostro Signore Risorto. La nostra mente e il nostro cuore sono per natura troppo dinamici per rimanere stagnanti: perdiamo interesse velocemente quando ci fissiamo su noi stessi e sui nostri stanchi tentativi di confinare l’immensità di Dio e la sua costante novità nei nostri schemi limitati. Solo fissando i nostri occhi sul Cristo Risorto con il suo Cuore ardente e trafitto, siamo affascinati e tirati fuori da noi stessi e la nostra creatività è pienamente utilizzata, il nostro amore massimizzato e la nostra visione di questo mondo ed eternità resa più chiara. 

Il Signore è risorto! Alleluia!

Non lasciamo noi stessi e la nostra preghiera nella vecchia tomba senza vita della nostra routine e delle nostre ridotte aspettative. Alziamoci e fissiamo il nostro sguardo su Gesù che continuamente ci rivela il Padre e rivela noi a noi stessi!

 

Riflessione e proposito:

  • Dove mi trovo nel mio rapporto con il Signore in preghiera: nell’entusiasmo del transitorio ministero pubblico di Gesù, come sul Monte Tabor? Sulla croce con il Signore nella sua passione? Nella tomba angusta delle mie aspettative su Dio? Nella luce del Signore risorto animata dallo Spirito Santo in preghiera?
  • Quale atteggiamento il Signore mi sta chiedendo di coltivare in preghiera? La gratitudine per le sue consolazioni o per la condivisione della sua croce redentiva? L’abbandono e la fiducia in mezzo alle difficoltà? La docilità allo Spirito Stanto e la generosità nel servizio verso coloro che incontro nella mia vita quotidiana?
  • Come il Signore mi sta chiedendo di vivere più pienamente nella novità del suo Spirito e Risurrezione oggi? Potrei iniziare la mia preghiera a tutti i miei impegni con una breve invocazione allo Spirito Santo e concludere con una semplice preghiera di ringraziamento.

 

La meditazione di questo mese è di Joel Haug,

seminarista degli Apostoli della Vita Interiore

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